Ad un mese dal commissariamento di Banca Carige, i problemi che hanno spinto la Commissione Europea all’amministrazione straordinaria dell’istituto ligure sono ancora tutti da risolvere. L’aumento di capitale di 400 milioni di euro, respinto il 22 dicembre scorso dall’assemblea dei soci (per l’astensione del maggiore azionista Malacalza Investimenti) e necessario a coprire i 320 milioni di euro prestati a Carige dal sistema bancario italiano (grazie allo Schema volontario del Fondo Interbancario di tutela dei depositi), non è stato ancora effettuato.
Un partner interessato a investire per un rilancio e, quindi, per il futuro dell’antica banca genovese non c’è.
Quanto alla ricapitalizzazione dell’Istituto, le soluzioni possibili sono due: quella attraverso capitali privati oppure un intervento pubblico, che includerebbe la conversione in equity del bond sottoscritto dallo Schema volontario, con annessa svalutazione.
Secondo il commissario di Carige Pietro Modiano ( che ricordiamo essere già stato presidente dell’istituto bancario) “non ci sono motivi per cui lo Stato debba metterci un euro”. Dello stesso avviso il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, che ha affermato “Penso ci siano le condizioni per una soluzione che sblocchi la situazione”.
Mentre i tre commissari, Modiano, Innocenzi e Lerner, stanno lavorando alla ricerca del partner privato ( che per ora non si vede), si delinea un’altra possibile soluzione, più praticabile con i tempi stretti imposti da Bruxelles, cioè l’ingresso di un fondo di private equity in asse col gruppo Malacalza, attualmente detentore del 27,5% e, quindi, primo degli azionisti di maggioranza. Questa ipotesi consentirebbe ai Malacalza di ridurre sia i rischi legali che quelli da forte deprezzamento del pacchetto azionario.
Nonostante Carige includa un interessante asset di crediti fiscali, dovuti alle perdite maturate negli ultimi anni, il cui valore si calcola essere di 1,8 milioni di euro circa, nessuna banca né italiana né europea (qualche francese, ad esempio) sembra essere davvero interessata all’acquisizione.
Resta così incombente il rischio fondi pubblici.
Nel frattempo, come si apprende da Market Insight, Carige ha avviato l’iter per la cessione dei crediti problematici rimasti in seno alla banca, con l’accelerazione nel de-risking che rappresenta un tassello fondamentale del nuovo piano industriale che sarà presentato entro fine febbraio e anche in vista di una potenziale aggregazione.
L’ammontare totale di Npl e probabili inadempienze è di 1,5 milioni di euro circa. L’obiettivo dei commissari, in questo modo, è quello di ridurre i cosiddetti crediti deteriorati ad un valore compreso tra il 5% e il 10% dei crediti totali.
Intanto, alcune banche , in linea con una valutazione tecnico-finanziaria di KPMG, avrebbero deciso di adottare una linea di cautela, svalutando di almeno un 5% nel bilancio 2018 del bond Tier2 sottoscritto pro quota.
Ieri, 5 febbraio, Intesa Sanpaolo ha reso noto, a mezzo del consigliere delegato Carlo Messina, di aver provveduto a svalutare il bond subordinato di Banca Carige per 54 milioni di euro, che corrisponde al totale di 80 milioni, tasse incluse.