La Prima Sezione della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, 3 luglio 2024, n. 18227) ha esaminato una controversia riguardante l’usura sopravvenuta in un contratto di conto corrente assistito da un'apertura di credito, richiesto da una società e dal suo garante, entrambi in causa contro un istituto bancario. La causa riguardava, tra le altre questioni, la verifica della legittimità delle clausole contrattuali e la restituzione delle somme indebitamente percepite.
Nel contesto del giudizio, la società ricorrente ha sostenuto la nullità delle clausole contrattuali, ritenendole in contrasto con la normativa in vigore. La sua tesi era che gli addebiti bancari non fossero adeguatamente giustificati da un valido contratto scritto, e che l’onere della prova dovesse ricadere sulla banca, in quanto ente creditizio. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto questa interpretazione, chiarendo che, trattandosi di un contratto concluso per iscritto, è il cliente che agisce per la restituzione delle somme a dover dimostrare l'assenza di una causa giustificativa per i pagamenti effettuati. Non è stato quindi accettato il tentativo di spostare l’onere della prova sulla banca, poiché il principio della vicinanza della prova non si applica in questa situazione.
In relazione all’art. 119 del Testo Unico Bancario, la Corte ha sottolineato che il diritto del cliente a ricevere copia della documentazione contabile relativa alle operazioni bancarie è limitato alle sole operazioni degli ultimi dieci anni. Al di fuori di questo periodo, l’onere di conservazione della documentazione incombe su tutte le parti coinvolte, compresa la parte che agisce in giudizio. La Corte ha inoltre ribadito che l'ordine di esibizione dei documenti non può essere utilizzato per supplire alla mancanza di prove da parte del cliente, trattandosi di uno strumento istruttorio di carattere residuale.
Uno degli aspetti più significativi della sentenza è legato alla questione dell’usura. La società ricorrente aveva lamentato che il tasso effettivo globale (TEG) applicato nel rapporto di conto corrente avesse superato la soglia di usura stabilita dalla normativa in vigore. Tuttavia, la Corte ha escluso l’usura sopravvenuta, spiegando che la modifica del tasso d’interesse, comunicata dalla banca e non contestata dal cliente, costituiva una nuova volontà negoziale, conformemente a quanto previsto dall’art. 118, comma 2, del T.U.B. In tal senso, il superamento del tasso soglia si sarebbe verificato solo in presenza di una nuova contrattazione espressa o tacita tra le parti, che nel caso in esame non è stata riscontrata.
Infine, la Cassazione ha respinto anche il quarto motivo del ricorso, relativo alla presunta contraddittorietà della motivazione della sentenza di secondo grado. Il ricorrente aveva sostenuto che la consulenza tecnica d'ufficio (CTU) non avesse seguito le indicazioni fornite dalle istruzioni della Banca d’Italia per il calcolo del tasso soglia, ma la Corte ha considerato questa motivazione come infondata, confermando la legittimità dell’operato dei giudici di merito.
In conclusione, la decisione della Corte ha chiarito che non vi è stata alcuna violazione delle norme in materia di usura sopravvenuta e ha ribadito l’importanza del corretto assolvimento dell’onere della prova da parte del cliente che intenda contestare le condizioni di un rapporto bancario. Questa sentenza, pertanto, rafforza l'interpretazione secondo cui la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte della banca, accettata tacitamente dal cliente, non può essere successivamente impugnata per usura sopravvenuta se non si dimostra che tali modifiche abbiano violato le norme vigenti.