A circostanze eccezionali si reagisce con misure eccezionali. La risposta fiscale dei governi mondiali alla minaccia pandemica ha messo in campo degli stimoli senza precedenti. Grazie al lavoro di armonizzazione dei dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è ora possibile esaminarli attraverso una prospettiva globale.
A fronte di un contesto in cui nelle principali economie mondiali i tassi di interesse erano a zero o in territorio negativo ed i programmi di acquisto titoli delle banche centrali viaggiavano già a regime massimo, molto si è discusso sul fatto che la politica fiscale dovesse avere il ruolo principale nel contrasto alla recessione indotta dalla pandemia e dai lockdown generalizzati. I dati relativi agli ultimi 10 mesi (cfr. Figura 1) consentono di stimare l’entità dello sforzo che i governi stanno affrontando in termini di spesa pubblica effettiva (che esclude cioè garanzie pubbliche ed altri interventi potenziali).
Mediamente il FMI prevede nel 2020 deficit pubblici nell’ordine del -10, -12% in tutte le principali economie, di cui il 3-4% è ascrivibile al funzionamento degli stabilizzatori automatici (cassa integrazione guadagni, indennità di disoccupazione, etc.) e circa il 9% ad interventi diretti di stimolo.
Il Paese più propenso a lasciar crescere il deficit attraverso spese correnti è il Canada con interventi che andranno a sfiorare il 20% del PIL, seguito da Regno Unito (- 14,6%) ed USA (-12,5%). In media globale risultano i Paesi dell’area Euro, mentre le economie emergenti hanno messo in campo stimoli più limitati, anche per via del minore impatto che la pandemia ha avuto in termini di PIL.
In generale le misure adottate tendono a più che compensare il calo previsto del PIL (barre rosse), con le eccezioni di Francia e Spagna dove la crisi si sta rivelando più grave delle stime di qualche mese fa.
Figura 1
Figura 1
La Cina potrebbe essere tra i pochissimi Paesi (se non l’unico) ad avere un tasso di crescita positivo nel 2020 a fronte dell’indubitabile capacità di schiacciare l’epidemia a livelli insignificanti con un gigantesco sistema di test & tracing.
Settore privato e istituzioni pubbliche diverse dal governo
Tuttavia esaminare soltanto le spese correnti fornisce un quadro parziale e distorto dell’entità della risposta fiscale. Per avere una visione complessiva considerare anche quegli interventi che in gergo contabile vengono definiti “sotto la riga” (cfr. Figura 2, barre blu) e cioè l’appostamento di garanzie pubbliche, prestiti e partecipazioni nel settore privato insieme alle misure “quasi fiscali” messe in atto da altre istituzioni pubbliche diverse dal governo (come le banche centrali o banche pubbliche di investimento).
Figura 2
In questa prospettiva la classifica precedente viene ribaltata: ai primi posti appaiono Italia e Germania dove domina il peso delle garanzie statali (al 32,8% in Italia) e di prestiti e partecipazioni. Interessante il caso del Giappone che figura al terzo posto per via dell’incidenza preponderante di prestiti erogati attraverso istituzioni pubbliche non governative tra cui la banca dello Sviluppo nazionale. I Paesi dell’area Euro mostrano un’evidente preferenza verso lo strumento delle garanzie rispetto agli esborsi diretti, probabilmente anche per via dell’attitudine culturale al rispetto di rigidi vincoli di bilancio, nonostante il Patto di Stabilità e Crescita sia stato ufficialmente sospeso.
La situazione appare speculare nelle principali economie emergenti (Brasile, Russia, Cina) dove il peso degli interventi sotto la linea tende ad essere più basso, probabilmente per il limitato sviluppo del settore privato e una più ridotta capacità dello stesso di utilizzare proattivamente le misure di sostegno.
L’incidenza della spesa sanitaria di emergenza (barre rosse) si dovrebbe assestare mediamente intorno allo 0,6% del PIL, con i Paesi in via di sviluppo che hanno subìto un maggior impatto in bilancio di questa tipologia di spesa.
I beneficiari
Esaminando gli stessi dati da una prospettiva diversa è possibile effettuare una decomposizione del sostegno fiscale all’economia identificando gli operatori del settore privato che ne sono stati beneficiari (cfr. Figura 3). In questo caso le differenze più significative si osservano quando si isolano le economie avanzate da quelle emergenti: infatti in Occidente ed in Cina le corporations assorbono oltre il 30% degli aiuti totali erogati, mentre nei Paesi in via di sviluppo la quota si limita a poco più del 10%.
Si registrano poche differenze tra le due macrocategorie in termini di ripartizione delle risorse a favore degli schemi di sostegno all’occupazione (19% contro 13%), al reddito delle famiglie (18% contro 13%) ed alle piccole e medie imprese (11% contro 12%). Allineata nel complesso anche l’incidenza della spesa sanitaria.
Appare eclatante invece la differenza nelle risorse impegnate in progetti pubblici di potenziamento infrastrutturale: praticamente assenti nelle economie sviluppate (0,82%), i lavori pubblici assorbono oltre il 16% degli stimoli messi in campo dalle economie emergenti. Il dato comunque appare coerente con la maggiore incidenza della spesa corrente in questi Paesi rispetto a schemi di supporto al settore privato più evoluti come garanzie o partecipazione al capitale d’impresa.
Grande incertezza
Mentre ottobre 2020 volge al termine, il quadro macro rimane comunque volatile e soggetto a grande incertezza. Gran parte delle previsioni effettuate dal FMI non considera l’impatto sul PIL della recrudescenza della pandemia in Europa ed USA che si sta sviluppando con l’avanzare della stagione autunnale.
È abbastanza scontato che le stime di crescita del PIL nel quarto trimestre saranno riviste al ribasso per via degli effetti di nuove misure restrittive – per ora a carattere localizzato – praticamente in tutte le economie occidentali. In risposta al rallentamento economico c’è da aspettarsi un rinnovato round di misure fiscali espansive: in USA c’è aperta discussione su un secondo imponente programma di stimolo che potrebbe essere varato appena dopo il periodo elettorale, indipendentemente dal vincitore.
Dai dati del FMI, è possibile mettere in relazione il calo stimato del PIL in questo nuovo contesto peggiorato con la severità delle misure di restrizione varate dai governi nei rispettivi periodi acuti della crisi sanitaria (ad es. in inverno in Cina, in primavera in Europa ed USA, in estate in Brasile, cfr. Figura 4).
Figura 4
Con tutti i caveat del caso che comprendono l’influenza di numerosi altri fattori (clima e stagionalità in primis), è possibile apprezzare una relazione diretta tra severità delle misure di contenimento e minore impatto sul PIL. Il che non implica certo l’assioma: più stringente è il lockdown, meglio andrà l’economia.
La relazione va interpretata in termini di efficacia delle misure: più l’epidemia è contenuta efficacemente (e spesso – ma non sempre – lo è con misure più drastiche), più ridotto è il calo del PIL nei mesi a seguire. Certamente è doveroso notare come Francia, Spagna ed Italia sembrino degli outlier nel gruppo di economie rappresentate, in cui dei lockdown piuttosto severi vengono associati a cali stimati del PIL altrettanto marcati.
In definitiva, esaminati da una prospettiva ampia, durante la prima fase della pandemia gli interventi di politica fiscale hanno efficacemente supportato la politica monetaria ed evitato un collasso incontrollato dell’economia globale.
Manteniamo la barra dritta anche in questo secondo, difficile, round.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
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