Con la sentenza n. 6319 del 5 marzo 2019, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul controverso tema delle polizze cosiddette unit linked, in merito ai requisiti atti a qualificarle come contratti assicurativi.
La fattispecie ha riguardato un’azione di nullità di una polizza (per asserita mancanza del rischio demografico) il cui premio era stato investito nell’acquisto di quote di un fondo d’investimento, il cui valore si era dimezzato dopo pochi mesi a causa del noto “crack Madoff”.
Da tempo si discute su questo tipo di polizze, pertanto la questione è dirimente e tracciare un confine tra prodotto assicurativo (quindi anche detraibile, se del caso) ed uno finanziario è assai importante.
Innanzitutto, vediamo di cosa si tratta. Le polizze unit linked sono negozi particolari, che prevedono di investire i premi in fondi interni o esterni alla compagnia di assicurazioni alla quale vengono versati dall’assicurato.
Alla scadenza della polizza o al verificarsi di un evento tra quelli previsti in copertura, come ad esempio la morte del contraente, verranno erogate all’assicurato a ai suoi beneficiari le somme pari al valore delle quote del fondo al momento dello scioglimento del vincolo contrattuale.
Secondo la definizione fornita dalla Consob, le polizze unit linked sono “polizze di ramo III, previste dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni”. Il confine tra polizze assicurative e prodotti di investimento finanziario è quindi assai sottile.
Per la Suprema Corte le polizze unit linked hanno natura assicurativa ”anche ove sia prevalente la causa finanziaria”, ma non sono qualificabili come prodotti assicurativi le polizze in cui manchi la “ricorrenza del rischio demografico”. Quest’ultimo deve essere valutato “con specifico riferimento all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento”.
Alla base della decisione, il seguente ragionamento:
- le polizze unit linked non sono prodotti assicurativi in qualsiasi caso, ma soltanto quando prevedano un effettivo “trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore”, ove per rischio si intende la morte del contraente o la sua esistenza in vita ad una certa data prefissata.
- sono prodotti effettivamente assicurativi le polizze “che operano la sostituzione della prestazione fissa dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato” a condizione che “mantengano comunque il rischio demografico”.
- un prodotto assicurativo è tale se vi sia rischio “assunto dall’assicuratore” non quando si tratti di uno strumento finanziario il cui rischio di performance sia addossato interamente all’assicurato.
In sintesi, affinché le polizze unit linked a causale mista (finanziaria ed assicurazione sulla vita) si considerino come prodotti assicurativi, è necessario che la parte del contratto qualificata come assicurativa risponda ai principi del codice civile, del codice delle assicurazioni e della normativa secondaria ad essi collegata, con particolare riferimento al “rischio demografico”, rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa che, avuto riguardo della natura mista della causa contrattuale, dovrà essere vagliata con specifico riferimento all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento.
Il giudice di merito dovrà anche valutare, con adeguata logica motivazione, se, in relazione a tali indici, la misura prevista sia in grado di integrare concretamente il rischio demografico.
Un aspetto molto importante è la detraibilità o meno dei premi assicurativi versati su tali polizze. Questa sentenza, dunque, indica anche all’amministrazione finanziaria che si dovranno operare i controlli tenendo debitamente in considerazione le suddette circostanze fattuali, evitando accertamenti a priori.